Effetto fotoelettrico e quanti di luce
Hai mai sentito parlare dell’effetto fotoelettrico? No? Ti sei mai chiesto cosa succeda quando un’onda elettromagnetica come la luce colpisce un metallo conduttore di elettricità?
Alla fine dell’Ottocento, il fisico tedesco Philipp Lenard osservò che dal metallo alcuni elettroni si liberavano dando vita ad un flusso di corrente.
Lenard scoprì che l’intensità di questa corrente (cioè la quantità di elettroni liberati e la loro energia cinetica) dipendevano solo dalla frequenza dell’onda elettromagnetica ma non dalla sua intensità. All’epoca era in vigore la teoria ondulatoria della luce e ciò rendeva il fenomeno inspiegabile.
Bisognerà attendere Einstein per poter spiegare il fenomeno che fu chiamato “effetto fotoelettrico”: egli ipotizzò che la luce fosse composta da particelle che poi furono chiamate “fotoni” (o anche “quanti di luce”), le quali erano dotate di un’energia proporzionale alla frequenza dell’onda.
La luce, pertanto, si comportava sia come un’onda che come un flusso di particelle (dualismo onda-particella). Quando una di queste particelle colpisce un elettrone esso ne assorbe l’energia e questo gli consente di sfuggire al proprio legame atomico ed essere estratto dal metallo.
Come fare l’esperimento effetto fotoelettrico
Nell’applicazione realizzata dall’Università del Colorado, una lampada illumina una placca di metallo inserita in un circuito a tensione variabile che funge da acceleratore o freno per gli elettroni estratti dal metallo.
Per osservare i diversi comportamenti dell’effetto fotoelettrico è possibile variare i seguenti parametri:
- la frequenza e l’intensità della luce che colpisce la placca
- il materiale di cui è costituita la placca
- il campo elettrico presente tra le due placche (intensità e direzione)
Sui grafici nella parte destra dell’applicazione sono osservabili i risultati dell’esperimento. L’ultimo, in particolare, “Energia degli elettroni vs frequenza della luce” ci mostra cosa accade quando facciamo variare la frequenza della luce a parità di intensità. Esattamente il fenomeno che aveva osservato Lenard.